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      • Pubblicato il 5 feb 2024
      • Ultima modifica 5 feb 2024
    • 5 min

    Chi pagherà i costi della decarbonizzazione della supply chain

    Comprendere chi sosterrà gli oneri della decarbonizzazione della catena di approvvigionamento è tema tutt’altro che secondario per ogni organizzazione.

    Chi pagherà i costi della decarbonizzazione della supply chain

    Da anni si parla di decarbonizzare il mondo ma, nonostante il tema abbia destato crescente rilevanza, non tutti sono a conoscenza del fatto che questo obiettivo può essere raggiunto solamente decarbonizzando la catena di approvvigionamento: circa il 75% di tutte le emissioni di gas serra, infatti, rientrano proprio in quell’ambito che comprende la supply chain a monte e l'utilizzo finale dei beni e dei servizi a valle.

    Per ridurre queste emissioni in misura sufficiente a evitare un cambiamento climatico catastrofico sarà necessario applicare prontamente le migliori tecnologie, infrastrutture, organizzazioni, risorse. E, peraltro, occorrerà farlo in fretta e senza indugi: secondo una stima di McKinsey del 2022, ad esempio, il costo totale della transizione dell'economia globale verso emissioninette zero potrebbe costare 3,5 trilioni di dollari in più all'anno in spese di capitale, ovvero circa la metà dei profitti delle aziende mondiali.

    Mentre un numero sempre maggiore di aziende cerca di ridurre l'impronta di carbonio delle proprie catene di fornitura, la questione di chi pagherà per i cambiamenti necessari - acquirenti o fornitori - diventerà sempre più pressante e anche i brand più facoltosi finiranno a fare i conti con tale aspetto, considerando che toccheranno con mano (e in parte lo stanno già facendo) il vero costo della decarbonizzazione delle loro catene di approvvigionamento.

    Se quanto sopra è vero, è altrettanto vero che lo svolgimento del tema potrebbe assumere pieghe molto diverse. Qualche grande marchio potrebbe ad esempio scegliere di investire per aiutare i fornitori a ridurre le loro emissioni, mentre altri brand potrebbero semplicemente scaricare il problema e i relativi costi sui loro fornitori, affinché questi li risolvano da soli. Evidentemente, è questo secondo approccio quello meno favorevole, considerato che in molti settori i fornitori sono già alle prese con margini operativi ridotti e in questo contesto è molto difficile investire in tecnologie green.

    RS - Chi pagherà i costi della decarbonizzazione della supply chain

    Gli oneri della decarbonizzazione

    Insomma, per molti provider, soprattutto nei settori a basso margine come quello dell'abbigliamento, il rischio è quello di vedersi accollata un'altra spesa impegnativa da parte dei marchi da cui dipendono.

    Peraltro, molte imprese hanno già segnalato questo fenomeno, evidenziando di essere state costrette a prendere in carico nuovi requisiti green all’interno delle proprie organizzazioni, come ad esempio delle severe linee guida per ridurre l'uso dell'acqua e le emissioni di carbonio. Tuttavia, a fronte di questi impulsi, i marchi tendono a rifiutare ogni forma di collaborazione o, magari, di incentivare tali requisiti green con benefici finanziari.

    Eppure, i fornitori non disdegnano – e, anzi, potrebbero essere interessati – di ridurre la loro impronta ambientale, pur nella consapevolezza che passare a un modello di business pienamente sostenibile sotto il profilo ambientale richiede tempo e denaro.

    A complicare le cose c'è il fatto che i requisiti ambientali degli acquirenti cambiano continuamente e spesso variano da acquirente ad acquirente. Alcuni fornitori si trovano in difficoltà perché hanno investito in qualcosa di specifico, ma poi devono cambiare i propri impieghi in corsa perché giungono altre richieste da ulteriori brand.

    In questo senso, l’atteggiamento più virtuoso è probabilmente quello che vede un approccio più strutturato al coinvolgimento dei fornitori, con i marchi che dovrebbero essere interessati a capire a che punto si trovano i loro fornitori, come possono aiutarli, come sbloccare soluzioni di finanziamento e come essere più collaborativi. In altri termini, i costi della transizione al carbonio vengono alla fine suddivisi in qualche modo tra fornitori, acquirenti e consumatori, condividendo onori e oneri.

    In questo senso interpretativo, considerato che una parte dei costi è stata assorbita dalla fabbrica, un'altra dal grossista, un'altra ancora dal dettagliante, ne deriva che il prezzo tende ad aumentare in una certa misura, finendo con il far diventare il costo della transizione come un onere collettivo.

    Gli oneri della decarbonizzazione

    L’atteggiamento collaborativo con i fornitori

    Tutto ciò premesso, non mancano naturalmente gli atteggiamenti collaborativi che potrebbero essere molto graditi da parte dei fornitori. Uno è molto semplice: i brand dovrebbero iniziare ad adottare buone pratiche di acquisto, come pagare in tempo e impegnarsi di più negli acquisti, parlando con le proprie controparti e cercando di comprendere quali siano le loro esigenze e preferenze.

    Un altro approccio che è oramai indispensabile cercare di ridurre l’impronta ambientale arriva dalla tecnologia: tale obiettivo non può che essere perseguito attraverso una fitta serie di strumenti, tra cui la raccolta di dati, la scelta di materiali più sostenibili e la collaborazione con i fornitori, al fine di scoprire quanta parte dell'impronta di carbonio è intrinseca alla loro produzione e cosa stanno facendo per mitigarla.

    Alcuni sforzi di riduzione delle emissioni di carbonio potrebbero peraltro ripagarsi da soli nel lungo periodo attraverso cambiamenti operativi che producono valore aumentando l'efficienza o riducendo i costi energetici.

    I fornitori che possono permetterselo possono essere incentivati a investire nella riduzione delle emissioni, in particolare nei settori dei beni di consumo dove i clienti desiderano prodotti sostenibili. Anche la finanza può contribuire a colmare almeno in parte il divario tra gli imperativi ambientali globali e gli obiettivi finanziari aziendali, nonché tra acquirenti e fornitori quando si tratta di ridurre le emissioni. E, dinanzi ai responsabili finanziari più timidi nell’abbracciare questo cambiamento, potrebbe essere utile soffermarsi sul fatto che un’impresa più green tende ad essere valutata con sempre maggiore favore dalle banche, potendo così accedere a tassi di finanziamento migliori grazie a una migliore performance nelle iniziative ecologiche, cosa che non potranno che ritenere molto interessante.

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